Scrivo queste righe animato da una sincera volontà di comprendere una cosa che mi è sempre parsa oscura, e spero che qualcuno vorrà aiutarmi a farlo. Lo spunto mi viene offerto da un articolo di Angelo Panebianco pubblicato su Sette del 26 ottobre 2012 in cui si riprende – senza citarli, naturalmente, ma questa non è una notizia... – un vecchio cavallo di battaglia dei radicali: la parificazione fiscale fra lavoratori autonomi e dipendenti, attraverso l'abolizione delle ritenute alla fonte sui redditi. L'argomento è noto: i lavoratori dipendenti sono onesti 'per forza' dal momento che lo Stato preleva le imposte prima ancora che essi ricevano lo stipendio, mentre i lavoratori autonomi hanno tutte le possibilità di occultare i propri redditi. La proposta è stata anche oggetto di referendum, poi se non ricordo male bocciati dalla Consulta*. Devo dire che, in tanti anni, ho quasi sempre condiviso le battaglie radicali, alcune con maggior entusiasmo, altre con minore, ma raramente sono stato del tutto contrario, come appunto in questo caso. Cercherò di spiegare i motivi della mia opposizione, sia con riferimento agli argomenti che mi sembra di avere colto negli anni da parte di dirigenti radicali, sia a quelli esposti da Panebianco.
I principali argomenti a favore della proposta sono due: la parificazione di trattamento fra autonomi e dipendenti, e la trasparenza fiscale. Per il primo, sgombrerei subito il campo da un equivoco: l'impossibilità per i dipendenti di evadere non è dovuta alle ritenute alla fonte, ma alla tipologia di contratto di lavoro. Anche senza ritenute, il lavoratore dipendente ha un reddito che nella maggior parte dei casi è noto o facilmente accertabile, e dunque ogni tentativo di evasione sarebbe velleitario. E comunque non capisco quale sia la logica di chi vuole dare al lavoratore dipendente lo stipendio lordo dicendogli: adesso fai quello che vuoi, paga le tasse se ti va, se no evadi come fanno gli autonomi. Salvo in un caso di cui parlerò più avanti, non mi sembra che rendere possibile l'evasione fiscale sia un obiettivo condivisibile. Inoltre, non si considera che per molti lavoratori dipendenti il fatto che il datore di lavoro effettui le ritenute e si occupi della dichiarazione dei redditi è una grande comodità e un risparmio di spesa. L'alternativa sarebbe un ulteriore aumento del già enorme numero di commercialisti e un ingolfamento dei centri pubblici di assistenza fiscale. Temo che i sostenitori di un sia pur teoricamente valido principio di autonomia e di libertà si troverebbero ad essere insultati da milioni di lavoratori dipendenti incazzati per nuove seccature che prima venivano loro risparmiate.
Veniamo al secondo argomento, la trasparenza fiscale. Si dice: con le ritenute alla fonte, non si ha la giusta percezione di quanto sia il carico fiscale. Qui i lavoratori dipendenti, a mio avviso, avrebbero diritto di incazzarsi ancor di più. Ma chi sostiene queste tesi ha mai visto una busta paga? Il lavoratore dipendente sa benissimo qual è il suo salario lordo e quale il netto, e nella busta paga sono indicate con precisione le diverse ritenute. In una vita precedente, quando Panebianco era vicino al Partito Radicale, sono stato anche suo amico, ma adesso, che dai radicali sembra così lontano, mi viene da chiedermi in quale astratto mondo egli viva, per ritenere che, uniformata la cittadinanza fiscale, «la divisione di interessi fra le diverse categorie di contribuenti scomparirebbe e i gestori della spesa pubblica si troverebbero a dover giustificare ogni uscita sino all'ultimo centesimo». Addirittura, questo sarebbe l'inizio di una nuova era in cui «ben pochi cittadini potrebbero ancora accettare l'attuale livello di imposizione fiscale» (che adesso evidentemente accettano per pura e semplice ignoranza). Come a dire che i politici fanno quel che vogliono dei nostri soldi non perché hanno in mano le leve di un sistema corrotto e in grado di auto-perpetuarsi – come Panebianco stesso denuncia in altri scritti – ma perché i lavoratori dipendenti sono ignari di quanto paghino di imposte. Analisi che mi sembra più appropriata ad un'Italia ottocentesca, contadina e analfabeta al 90% che a quella di oggi.
Curiosamente, non trovo mai citati quelli che a me sembrano i due soli argomenti validi a favore dell'abolizione delle ritenute alla fonte: dare la possibilità ai lavoratori dipendenti di fare obiezione fiscale, e sgravare le aziende da un compito che devono svolgere per conto dello Stato. Purtroppo ambedue gli argomenti sono deboli: il primo – pure importantissimo in linea di principio e carissimo ai radicali – perché in pratica non si è mai riusciti in Italia a organizzare una significativa obiezione fiscale – e per dare un segnale importante basterebbero e avanzerebbero i lavoratori autonomi –; il secondo perché lo sgravio per le aziende sarebbe più che compensato, come già detto, da un aggravio per i cittadini. Chiudo dicendo che quando ho provato a porre queste argomentazioni a militanti e dirigenti radicali non ho mai avuto risposte soddisfacenti, come se questa battaglia facesse parte di un generico armamentario liberale ma senza attenzione alle possibilità concrete di essere applicata alla realtà italiana. So però che alcuni dirigenti che si occupano di economia e lo stesso Pannella la ritengono una battaglia giusta ed importante, e questo mi fa ritenere che ci siano argomenti più validi di quelli che sono riuscito ad immaginare. Come ho detto all'inizio, con spirito aperto attendo di conoscerli.
* I radicali hanno cercato a più riprese nel corso degli anni Novanta di abolire per via referendaria il sostituto d'imposta (nel 1994, 1995, 1997 e 1999). I quesiti sono stati però sempre bocciati dalla Corte Costituzionale perché, secondo la Corte, riguardavano leggi tributarie e quindi violavano l'articolo 75 comma 2 della Costituzione [NdR].
www.radicalisenzafissadimora.org
bell'articolo. peccato per il titolo, che sembra scopiazzato. ma avete solo un'idea? (e pure in latinorum)...
RispondiEliminaPoche idee, ma confuse (e in latinorum).
RispondiElimina[Marco del Ciello].