Nel 1768 il patriota americano John Dickinson cantava united we stand, divided we fall (uniti resistiamo, divisi cadiamo), un verso che oggi dovrebbe ispirare i pensieri e le azioni dei cittadini europei. Il definitivo spostamento dell'asse dei traffici globali dall'Atlantico al Pacifico ci ha infatti condannati per la prima volta nella nostra storia al ruolo di periferia, di appendice marginale del continente asiatico, proprio mentre ai nostri confini la Russia è riuscita invece a ritagliarsi un posto in prima fila nel nuovo ordine mondiale, accanto a potenze emergenti come il Brasile e il Sud Africa. Nei suoi oltre dieci anni di governo ininterrotto Vladimir Putin è stato abile a sfruttare le risorse naturali del suo paese per condurre una politica energetica aggressiva e spregiudicata nei confronti dei vicini, in questo favorito dalla crescita costante dei prezzi di petrolio e gas naturale. A poche settimane dalle elezioni che con ogni probabilità gli riconsegneranno anche formalmente la carica di presidente, si prepara ora a un ulteriore salto di qualità nella sua strategia: imitando le forme esteriori dell'Unione Europea, sta infatti per riconquistare i paesi dell'area post sovietica. Unione doganale, moneta unica, Commissione Eurasiatica e Consiglio Eurasiatico. Insomma, una grande Russia pronta a proiettare la sua ombra minacciosa sull'Europa divisa, dove non pochi leader politici, per il proprio tornaconto personale o per un malinteso senso dell'interesse nazionale, hanno già dimostrato la loro disponibilità ad assecondare le ambizioni imperiali di Putin. Gli europei non possono più contare sulla protezione degli Stati Uniti, ormai indifferenti nei confronti di una parte di mondo divenuta irrilevante per gli equilibri planetari, e devono fare affidamento unicamente sulle loro forze per difendersi da aggressioni esterne, sia politiche sia economiche: l'unione politica diventa quindi una questione di sopravvivenza. United we stand, divided we fall.
C'è però un paese che è essenziale per la realizzazione dei piani di Putin ed è l'Ucraina dalle due anime, letteralmente spaccata a metà tra sostenitori dell'autoritarismo russo e ammiratori della democrazia europea: seicentomila chilometri quadrati, quarantacinque milioni di abitanti e una collocazione geografica che la rende terra di frontiera per uomini, merci e soprattutto gasdotti. Qui si combatte una battaglia importante anche per il nostro futuro, una battaglia che i nostri amici stanno perdendo e proprio a causa dell'interferenza costante dell'ingombrante vicino. Come osserva il giornalista e scrittore Matteo Cazzulani, attento osservatore delle vicende ucraine: Julija Tymoshenko, leader dell'opposizione democratica ed europeista, è stata incarcerata per avere firmato dei contratti per il gas che hanno garantito un inverno al caldo non solo all'Ucraina, ma a tutta l'Unione Europea, Italia inclusa. Ci ricordiamo tutti il Gennaio 2009: sopratutto le nostre industrie che, dopo la chiusura dei rubinetti da parte di Putin, hanno risentito di perdite considerevoli dal primo di gennaio al 19, quando la Tymoshenko ha accettato costi alti pur di ripristinare, e garantire, l'afflusso di gas. Dunque, richiedere la democrazia in Ucraina significa difendere la sicurezza energetica dell'Italia. Sicurezza non solo energetica, aggiungerei io. Proprio per questo i governanti europei, ma anche i semplici cittadini, dovrebbero chiedere a gran voce la liberazione di Julija Tymoshenko, ingiustamente detenuta, e il ripristino di quelle condizioni di legalità e democrazia che gli ucraini si erano già conquistati con la Rivoluzione Arancione del 2005. Noi militanti dell'Associazione Radicali Senza Fissa Dimora manifesteremo sabato pomeriggio a Milano, insieme agli ucraini che vivono in Italia e a chi vorrà unirsi a noi, per dire no a Putin e sì a un'Ucraina democratica ed europea.
Appuntamento sabato 4 febbraio alle ore 15:30, in piazza Cordusio angolo via Mercanti (MM1 Cordusio) a Milano.
www.radicalisenzafissadimora.org
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