Di Emiliano Silvestri.
Da Riforma.
Per Napolitano un «abisso» separa la realtà carceraria dal dettato costituzionale. Anche il nostro Sinodo denuncia «l'insostenibile sovraffollamento» delle prigioni. E Pannella riprende lo sciopero della fame.
Uno degli ordini del giorno approvati al recente Sinodo denuncia: «l'insostenibile sovraffollamento degli istituti penitenziari» e ricorda che la mancanza di risorse non può giustificare «condizioni detentive che violano i diritti umani». Il 6 luglio, la pastora battista Anna Maffei, ricordava le morti nelle carceri italiane e richiamava la stretta relazione fra l'alto tasso di suicidi in carcere e le condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena. «A chi importa?» – continuava Maffei – «Forse solo ai soliti radicali il cui leader, Marco Pannella sta rischiando la vita con uno sciopero della fame che dura dal 20 aprile scorso». Parlava dell'iniziativa di lotta nonviolenta per il rientro nella legalità di una Repubblica che vanifica ciò che è solennemente affermato nell'art. 27 della sua Carta costituzionale. Uno sciopero (65 giorni, di cui 5 anche senza bere, culminato in uno sciopero della sete che aveva coinvolto oltre 2.000 persone) sospeso per corrispondere alla sensibilità dei Presidenti della Repubblica e del Senato, che avevano sostenuto e patrocinato un convegno che avrebbe dovuto discutere, ai massimi livelli istituzionali, di carceri e giustizia.
Nel suo intervento in quel convegno il Presidente Napolitano era stato duro: un «abisso» «separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona» (il richiamato art. 27). Una realtà che «ci umilia in Europa» e richiede «ci si rifletta seriamente, e presto, da ogni parte» «non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria». Nel quasi totale silenzio della politica e della stampa, ha parlato un magistrato. In settembre, il giudice di sorveglianza di Lecce Luigi Tarantino ha condannato l'amministrazione penitenziaria a risarcire un detenuto per le condizioni di detenzione patite. Una sentenza che si aggiunge a quella dei giudici di Strasburgo, che nel luglio del 2009, condannarono l'Italia in seguito al ricorso del detenuto Sulejmanovic, costretto a vivere - in condizioni analoghe - in meno di 3 metri quadrati. Secondo la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo veniva così violato l'articolo 3 della Convenzione sui diritti umani del 1950, che proibisce la tortura.
Le carceri italiane sono tra le peggiori d’Europa; il peggioramento delle condizioni dei detenuti è tuttavia diffuso. Nel marzo scorso, la Corte Costituzionale tedesca ha imposto alle autorità penitenziarie di rilasciare un detenuto se non possono assicurargli una prigionia rispettosa dei diritti umani fondamentali. In maggio, anche la Corte Suprema della California ha affermato la preminenza della dignità umana sulla «sicurezza», riscontrando nel sovraffollamento (148.000 detenuti in strutture con capienza di 80.000) una violazione dei diritti costituzionali dei prigionieri. Se lo Stato non è in grado di assicurare i diritti dei prigionieri - questo il ragionamento della Corte - dovrà rinunciare all'esecuzione della pena e liberare quanti detenuti sia necessario per rientrare nella legalità. In Germania come negli Usa si apre quindi la possibilità di liste d'attesa, come già succede in Norvegia da anni. Il principio è sempre lo stesso: se non c'è in carcere posto sufficiente, piuttosto che infliggere pene inumane e degradanti, meglio lasciare a casa i condannati, in attesa che il posto si liberi.
La malagiustizia italiana non è solo carcere. Ci sono anche nove milioni di processi arretrati (di cui 5 e mezzo civili: un tracollo che tiene lontano gli investimenti esteri e costa all'Italia 22 miliardi l'anno); 180.000 prescrizioni l'anno («un'amnistia di massa e di classe», dice Pannella); 67.377 detenuti (42% in custodia cautelare) per 45.732 posti mentre mancano 5.877 agenti di custodia.
I radicali raccolgono 146 firme di senatori. Vogliono convocare l'aula per: «l'urgente discussione e votazione di un documento che fissi modi e tempi certi per l'esame di provvedimenti di amnistia, indulto, depenalizzazione e decarcerizzazione capaci di confermare, integrare, perfezionare e rafforzare i risultati certi del progetto di riforma strutturale e funzionale della giustizia, per il ripristino della legalità costituzionale e il rispetto delle convenzioni europee e internazionali di cui la Repubblica italiana è parte». Per evitare una frettolosa e sterile discussione il 20 settembre Pannella, Bernardini e Irene Testa riprendono lo sciopero della fame, cui si uniscono ancora detenuti e loro famigliari, associazioni come «A buon diritto», «Antigone» e «Ristretti orizzonti», agenti di custodia con i loro sindacati, direttori di carceri (senza concorsi da 10 anni e con il contratto bloccato da 5) e il partito della Rifondazione Comunista.
Il Senato è riunito il 23 settembre per «Comunicazioni del Ministro della giustizia sul sistema carcerario e sui problemi della giustizia». Egli elimina dalla discussione indulto e amnistia: «nel passato» «strumento emergenziale per risolvere un problema che non si voleva risolvere alla radice»; passa a «rappresentare la situazione per come essa è» e, conclude: «si deve aprire una stagione di sereno confronto tra le varie forze politiche, che abbia presente la necessità di definire un progetto globale di giustizia, che porti la dovuta attenzione al sistema delle garanzie dei cittadini e che immagini il carcere come luogo di recupero, come luogo di cui interessarsi e non come luogo da esorcizzare». Non dimentica di dire che in carcere, non essendo raggiunta la «soglia finale di tollerabilità» ci sono ancora 2.000 posti. Nulla cambia con le parole della vicepresidente Bonino, che ricorda i suicidi, le 1.095 condanne subite dall'Italia per la lunghezza dei processi, il 97,4% di furti e l'80% di omicidi, rapine, estorsioni e sequestri rimasti impuniti.
L'avv. Pecorella, deputato Pdl, l'aveva previsto: «o c'è un accordo generale oppure credo che nessuno si esporrà a sostenere l'amnistia. Salvo i radicali che vanno avanti sempre secondo i loro principi e non secondo calcoli politici».
Pannella, al quarto giorno di sciopero della sete, riconosce: «sta diventando più dura» e avvia una nuova forma di lotta: tre cappuccini al giorno (e due sorsi d'acqua per ingurgitare le 8-9 pillole che gli sono prescritte) per guadagnare il «tempo minimo necessario perché tu comprenda» dice rivolto al Presidente Napolitano, «che avevi ragione quando hai indicato come priorità prepotente» il rientro nella legalità costituzionale. Cosa succederà nella seduta del 27 settembre non è dato sapere; certamente il leader radicale cercherà di aiutare il Presidente ad ergersi nuovamente in difesa della Costituzione di cui è supremo garante.
www.radicalisenzafissadimora.org
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