venerdì 9 dicembre 2011

Perché la battaglia sulle carceri non può non essere transnazionale

Di Marco del Ciello.

Ieri pomeriggio Marco Pannella, intervenendo a Roma al 39° Congresso del Partito Radicale, ha dichiarato che la battaglia che i radicali conducono da sempre per la legalità e i diritti umani nelle carceri italiane deve oggi diventare transnazionale, impegnandoci a monitorare le condizioni di vita dei detenuti di tutti i paesi del mondo. Pannella dimostra così di aver compreso che una lotta condotta esclusivamente sul piano nazionale, in questo caso come in molti altri, è destinata al fallimento. Un piccolo ma prezioso volumetto, ristampato pochi mesi fa dall'editore Elèuthera, ci aiuta a comprendere perché. L'autore, l'attivista per i diritti umani Ahmed Othmani, comincia raccontandoci, con la collaborazione della giornalista francese Sophie Bessis, la sua esperienza di detenuto politico nelle carceri tunisine, per poi spiegarci come il suo impegno per la democrazia lo abbia portato a dedicarsi progressivamente alla tutela dei diritti dei detenuti in decine e decine di paesi, del Nord e del Sud del mondo. Questo racconto ci offre dunque una prospettiva originale e inconsueta sul problema. Diciamo subito che la fotografia che ne emerge è sconfortante. Il dato forse più inquietante è quello che riguarda la carcerazione preventiva, cioè gli innocenti in carcere: la media mondiale oscilla addirittura tra il 50 e il 60%, molto al di sopra del già vergognoso 42% italiano, e nessun paese riesce a scendere sotto il 25%, cioè uno su quattro. Ma un altro aspetto deve soprattutto farci riflettere: le persone recluse in tutto il mondo sono circa nove milioni, con percentuali sulla popolazione molto diverse da paese a paese, ma con una costante. Dovunque, negli ultimi trent'anni, il numero dei detenuti è cresciuto più rapidamente sia della popolazione sia del numero di reati commessi. Negli Stati Uniti, ad esempio, i detenuti sono aumentati del 200%, i reati solo del 7%.

Questa crescita esplosiva, che Othmani attribuisce anche al ruolo dei media e alla demagogia dei politici, è la causa prima di quel sovraffollamento che noi radicali denunciamo in Italia ma che è problema globale. Ce lo dimostrano, se ce ne fosse bisogno, anche le cronache di questo ultimo anno. Il settimanale conservatore The Economist ci dice ad esempio che, a seguito delle rivolte londinesi di questa estate, la popolazione carceraria del Regno Unito ha raggiunto la cifra record di 87.000 detenuti, in una drammatica situazione di sovraffollamento. Poche settimane prima la Corte Suprema degli Stati Uniti, con una decisione senza precedenti, ordinava allo Stato della California di rilasciare ben 40.000 detenuti, per ripristinare le condizioni minime di rispetto dei diritti umani all'interno degli istituti di pena. E questi sono paesi di democrazia liberale, con redditi pro capite tra i più elevati dell'intero pianeta. La situazione delle carceri africane, che Othmani ben conosce, come pure l'inferno nascosto dei campi di lavoro cinesi, è infinitamente peggiore. Le condizioni di vita dei reclusi devono infatti essere sempre peggiori di quelle della parte più povera della popolazione, altrimenti svanisce qualunque effetto di deterrenza. Non solo, ma i regimi autoritari, accanto alla pena di morte e alla tortura, utilizzano il carcere come strumento principe per reprimere il dissenso. Anche da questo si capisce quanto siano intimamente connesse la lotta per l'affermazione della democrazia e quella per l'umanizzazione delle carceri. Il libro di Ahmed Othmani ce lo ricorda, con la forza della sua esperienza personale di vita e di politica: in quei paesi africani dove la democrazia avanza, vediamo infatti crescere di pari passo anche la sensibilità e l'impegno dei politici e dei cittadini per le carceri. Secondo un circolo virtuoso che sembra invece essersi spezzato in quei paesi occidentali che stanno pian piano scivolando verso forme di 'democrazia reale'.

Ahmed Othmani, Sophie Bessis, La pena disumana. Per una critica radicale del carcere. Prefazione di Giuliano Pisapia, Elèuthera, 2011.

www.radicalisenzafissadimora.org

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