Di Marco del Ciello.
Quando potremo smettere di parlare (al passato) di Unità d'Italia e cominciare a parlare (al futuro) di Unità d'Europa?
La ricorrenza dei centocinquant'anni dell'Unità d'Italia ha prodotto nel nostro paese un dibattito per molti aspetti surreale. Da un lato, infatti, c'è una ampia coalizione conservatrice che con vari argomenti difende l'unità nazionale così com'è, ma sul fronte opposto non ci sono progressisti che richiamandosi al pensiero di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi propongano in alternativa una patria europea. Al contrario vediamo reazionari nostalgici che rimpiangono gli staterelli ottocenteschi, il feudalesimo borbonico e più di tutto l'impero austroungarico. E la cosa più surreale è che questi reazionari hanno deciso di darsi il nome di 'federalisti'. Il federalismo è storicamente, e prima ancora etimologicamente, un movimento che porta a unire ciò che prima era diviso. Dai molti l'uno, secondo il motto dei federalisti americani del Settecento. Anche l'imperialismo è un processo di unificazione, ma si basa sulla violenza e la sopraffazione, mentre il carattere distintivo del federalismo è di procedere attraverso patti e accordi tra pari (in latino foedera).
Negli ultimi cinquant'anni un'attenta e rigorosa storiografia ci ha fatto conoscere proprio quegli elementi di sopraffazione e di violenza che hanno macchiato l'esperienza del Risorgimento italiano, ma questa nuova consapevolezza della nostra storia non deve farci dimenticare gli ideali di libertà, democrazia e federalismo che hanno animato i protagonisti dell'unificazione italiana. Né dobbiamo dimenticare il respiro europeo degli intelletuali e politici dell'epoca, da Mazzini a Cavour. Come ci ha ricordato un paio di giorni fa Pier Paolo Segneri con un suo articolo sul Secolo d'Italia, c'è un filo rosso che collega il nazionalismo italiano dell'Ottocento al federalismo europeo dei giorni nostri e si ritrova proprio nell'aspirazione a costruire una patria comune, indipendente e federale. Celebrare oggi in modo non solo retorico i centocinquant'anni dell'Unità d'Italia significa perciò impegnarsi concretamente per la costruzione della patria europea. Così come è ugualmente importante imparare dai molti errori che furono commessi in quel periodo per non ripeterli a nostra volta.
Prima la crisi economica globale e dopo le rivolte arabe hanno messo drammaticamente a nudo l'inadeguatezza degli stati nazionali. Nel momento in cui l'asse principale dei traffici commerciali si è spostato dall'Atlantico al Pacifico, relegando l'Europa alla periferia del mondo, non è più pensabile competere mantenendo la politica monetaria a Bruxelles e la politica fiscale a Roma, Parigi, Berlino... La politica economica deve essere gestita in modo unitario da un solo governo. Così come non è più differibile il rilancio delle relazioni con la sponda sud del Mediterraneo: solo un'Europa unita può essere un interlocutore credibile per i governi (e i cittadini) arabi su questioni vitali come immigrazione, energia e terrorismo. Il percorso dell'unificazione è stato tracciato già molti anni fa da Alcide De Gasperi, Robert Schuman, Konrad Adenauer e tanti altri, ma per superare le resistenze dei governi nazionali manca ancora un vasto movimento popolare, oggi più che mai necessario, che dia vita a un Risorgimento europeo. Una sfida per tutti noi, cittadini europei.
www.radicalisenzafissadimora.org
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