Di Marco del Ciello.
Domani e dopodomani gli elettori italiani si potranno recare alle urne per votare su quattro referendum abrogativi (a Milano sono nove). In questi ultimi giorni di campagna elettorale un argomento, apparentemente di carattere tecnico ma gravido di conseguenze politiche, ha raggiunto le prime pagine dei giornali, fino quasi a oscurare il dibattito sulle norme oggetto di abrogazione: stiamo parlando naturalmente del quorum. Su questo blog abbiamo già parlato del quorum e del suo funzionamento, ma non abbiamo detto che l'Italia è l'unico paese al mondo in cui si applica un quorum di votanti ai referendum. Per fare un esempio, a pochi chilometri da noi, in Svizzera, la partecipazione ai referendum si aggira sempre intorno al 40%, ma i numerosi referendum che si svolgono in questo paese sono ugualmente validi.
Come ci ricorda lo studioso di democrazia diretta Thomas Benedikter, il quorum scaturisce dalla sfiducia nei cittadini. Siccome la partecipazione diretta è sempre stata vista solo come uno strumento di difesa dei cittadini dalle istituzioni, all'epoca della Costituente anche le attività politiche al di fuori dei partiti non venivano considerate un correttivo prezioso del lavoro istituzionale e un momento di partecipazione civica, ma erano guardate con sospetto. La legittimità di un tale atto di difesa contro le istituzioni - la Costituente - andava pertanto comprovata da una maggioranza di elettori (T. Bendikter, Democrazia diretta. Più potere ai cittadini, 2008). Negli anni Settanta, quando il referendum fu introdotto nel nostro ordinamento, l'Italia aveva tassi di partecipazione al voto insolitamente alti per un paese democratico, ma col passare dei decenni il calo fisiologico della partecipazione ha reso evidenti i problemi legati al quorum. Tanto è vero che gli enti locali che hanno adottato nuovi statuti in epoca più recente hanno abbassato notevolmente la soglia di partecipazione (Regione Lombardia: 40%; Comune di Milano: 30%). Ma questi correttivi non sono sufficienti.
Esiste ormai una discreta letteratura contro il quorum, ma a mio parere l'argomento più forte, da un punto di vista democratico, è che distorce completamente il dibattito. Chi sostiene il no ha un fortissimo incentivo a fare campagna per l'astensione, perché così può già contare su una base di astensione che è sempre presente. Ma anche i promotori del referendum hanno interesse a sostenere il voto in sé per sé, perché così possono sfruttare anche chi va a votare no. Entrambi, insomma, hanno un forte incentivo a non entrare nel merito delle questioni e a utilizzare una comunicazione che evita accuratamente di parlare dell'oggetto del referendum. Senza contare che, se chi è al governo è contrario ai quesiti referendari (cosa non improbabile, date le caratteristiche popolari dello strumento), può boicottarli silenziando l'informazione sui temi in discussione. In questo caso, il dibattito non viene solo distorto, ma proprio annullato e una partecipazione consapevole al voto diventa impossibile, con grave danno per la democrazia.
www.radicalisenzafissadimora.org
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