domenica 29 giugno 2014

Riforma della giustizia? Nossignore!


Nella riunione del Consiglio dei ministri di lunedi si sarebbe dovuto parlare di riforma della giustizia; di intercettazioni, di responsabilità civile dei magistrati  e di un’Alta corte di disciplina.
Non sembra fosse prevista la discussione sul ripristino della legalità nelle carceri. Difficile che si voglia sintonizzare la responsabilità civile del magistrato con quella (diretta) decisa all'ottanta per cento  dal popolo sovrano con un referendum e, recentemente recuperata con un voto stravagante sull’emendamento Pini alla Camera.

Comunque l’Associazione Nazionale Magistrati è intervenuta sulla questione
Il suo presidente Rodolfo Sabelli, dopo un incontro con il ministro di Giustizia Andrea Orlando, ha rilasciato alla “Repubblica” un’intervista nella quale ha fissato “paletti”, limiti e “principi per i quali i magistrati sono pronti a battersi”.

Il Governo, con tutta probabilità, ascolterà soltanto le linee guida proposte dal ministro Orlando.
   
E le intercettazioni? Nessuno ha in animo di limitarle.  
Altre sono le preoccupazioni il presidente dell’Anm.

Sulla questione, prendiamo a prestito le parole di Massimo Bordin (il FOGLIO – 28 giu):

“Quello che preoccupa  non è l’utilizzazione investigativa delle intercettazioni ma la loro diffusione mediatica, che non deve venire meno. Occorre continuare ad inzeppare i provvedimenti che aprono l’indagine con conversazioni intercettate, così che possano subito finire sui giornali e nei talk. Sabelli, non possiamo credere parlando seriamente, chiama tutto ciò “controllo diffuso sulla misura”. Provo ad applicarlo e, controllato il livello, approfitto della diffusione di questo giornale per dire che la misura è colma”.  

venerdì 27 giugno 2014

Pannella non paga in nero: condanna cancellata dalla Cassazione

26 giugno 2014       
Dichiarazione dell’avv. Giuseppe Rossodivita, difensore di Marco Pannella:
  
Nel dicembre del 2013 gran parte della stampa nazionale si occupò della vicenda della “segretaria di Pannella pagata in nero” e della condanna della Corte d’Appello di Roma che riconosceva alla sig.ra Giuseppina Torrielli, tra sorte (circa 70.000 euro) interessi e rivalutazione monetaria la somma di circa 250.000 Euro per la quale la sig.ra Torrielli aveva detto di voler dare il via ai pignoramenti contro Pannella.
All’epoca furono dette e scritte molte cose inesatte, tra le quali quella per cui Pannella avrebbe per anni pagato in nero la sua segretaria, o che non le avrebbe pagato i contributi, o ancora che la sentenza era definitiva.

Per le molte amenità – la Torrielli non era la segretaria di Pannella, ma una delle diverse collaboratrici del Gruppo Parlamentare Radicale presieduto nel corso degli anni anche da Francesco Rutelli e Peppino Calderisi, la domanda giudiziale della Torrielli mirava semplicemente ad ottenere un diverso inquadramento giuridico del rapporto di lavoro, non vi sono mai stati pagamenti né rapporti di lavoro in nero, la Corte non aveva condannato Pannella al pagamento dei contributi sempre regolarmente corrisposti - Pannella ha proposto querela, tra gli altri, contro sei testate giornalistiche e i procedimenti penali sono pendenti in fase di indagine.

Nel frattempo, grazie al lavoro del collega giuslavorista Avv. Giudo Conti, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 12817/14 del 13 marzo 2014, comunicata in data di ieri, ha annullato la sentenza della Corte d’Appello, rinviando ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma per nuovo esame.

Deontologia professionale e onestà intellettuale vorrebbero che tutta quella stampa che all’epoca accorse in massa, pur di infangare il nome e l’immagine di Pannella, a sentire la versione veicolata dalla Torrielli, confezionando titoli scandalistici e scandalizzati basati su notizie in gran parte non vere e non verificate, seppur facilmente verificabili, rendesse noto oggi ai lettori che quella condanna era sbagliata ed ingiusta, che quella condanna non c’è più, è stata annullata dalla Corte di Cassazione.
Vedremo, anche se sappiamo che deontologia professionale e onestà intellettuale son merce rara nel panorama editoriale italiano.


 http://www.radicali.it/comunicati/20140626/corte-cassazione-annulla-condanna-pannella-pagare-250000-euro-alla-sigra-giusepp#sthash.qZZf2T4b.dpuf

giovedì 26 giugno 2014

Guerra alla droga: un crimine politico che deve finire.

È ora di parlare di droghe. Se anche tu vuoi che dal 26 giugno si inizi a parlare finalmente di droghe, firma l'appello.


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ll 26 giugno si celebra la giornata mondiale per la lotta alla droga.
Una guerra persa, sotto gli occhi di tutti e sulla pelle di troppi.
Per questo è ora di parlare di droghe.
Decenni di proibizionismo sulle sostanze stupefacenti hanno fatto aumentare la produzione, i traffici, i consumatori. E i profitti delle organizzazioni criminali.
Solo in Italia il giro d'affari della narcomafie è stimato intorno ai 25 miliardi euro. Le droghe sono il bancomat della criminalità in tutto il mondo. Circolano ovunque, dalle scuole alle carceri. Le Nazioni Unite confermano di anno in anno che il fenomeno non diminuisce. Anzi.

La guerra alla droga ha consegnato quello che dovrebbe essere un problema socio-sanitario al diritto penale, facendolo diventare una questione di ordine pubblico e, in certi casi, di sicurezza nazionale.
Ben 33 paesi prevedono addirittura la pena di morte per reati connessi alle droghe. Solo in Iran nel 2013 sono state 328 le persone giustiziate per questo, mentre nel mondo “democratico” un detenuto su quattro è in carcere per reati legati alle sostanze stupefacenti. Reati che non fanno vittime.
La proibizione sulle piante e le sostanze psicoattive derivate ha anche imposto enormi limitazioni alle ricerca scientifica pura e a quella applicata allo sviluppo di nuove terapie per decine di malattie, bloccando il progresso della scienza con danni gravissimi per la salute di milioni di persone.

Per questo ci appelliamo al governo, al parlamento e ai media affinché parlino di droghe. Chediamo che il tema venga affrontato in modo non ideologico, con dati ufficiali ed evidenze scientifiche. Con le esperienze positive in atto in altri paesi e includendo le analisi di politici, economisti, giuristi ed esperti nazionali e internazionali che denunciano il fallimento del proibizionismo e propongono possibili alternative radicali.

L'ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, l'ex commissario europeo Javier Solana, gli ex presidenti della Colombia, César Gaviria, del Messico, Ernesto Zedillo, del Brasile, Fernando Henrique Cardoso, del Cile, Ricardo Lagos, del Portogallo, Jorge Sampaio e della Svizzera, Ruth Dreifuss con la loro Global Commission chiedono al mondo la nostra stessa cosa, anche in vista di una sessione speciale dell'Assemblea generale delle Nazioni unite prevista per il 2016.

Se anche tu vuoi che dal 26 giugno si inizi a parlare finalmente di droghe, firma e condivi questo appello!
 http://www.radicalparty.org

mercoledì 25 giugno 2014

Radical nonviolent news

  # 24 del 24 giugno 2014
"La vita del Diritto 
per il Diritto alla vita"

Marco Perduca 
ll 26 giugno si celebra la giornata mondiale per la lotta alla droga. Non c'è un paese al mondo che possa vantarsi d'aver vinto la "guerra alla droga" con leggi e politiche... [SEGUE]

Gianluca Eramo 
In occasione della 26ma Sessione del Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, a Ginevra, Non c’è Pace Senza Giustizia e il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e... [SEGUE]

Matteo Angioli 
Il 18 giugno il conservatore e decano della Camera dei Comuni Sir Peter Tapsel (classe 1930), durante il question time al Primo Ministro David Cameron, ha detto che Tony Blair dovrebbe essere messo... [SEGUE]

Laura Harth 
"Anziché vaghi accordi di partnership, l'UE starebbe meglio se avanzasse una proposta semplice e chiara: se Israele e Palestina trovassero un pieno accordo di pace conclusivo,... [SEGUE]

Umberto Gambini 
Il 18 giugno il bureau politico del Partito regionalista fiammingo (NvA) del controverso leader, ora anche "formateur" incaricato di formare un nuovo governo in Belgio, Bart De Wever, ha... [SEGUE]

Luca Viscardi
E’ uscito anche in Italia il libro “No place to hide. Edward Snowden e la sorveglianza di massa” di Glenn Greenwald, giornalista indipendente vincitore del premio Pulitzer. Il... [SEGUE]

Marco Beltrandi
La correlazione tra esposizione mediatica (numero consentito di ascolti delle diverse presenze nei TG) e risultato elettorale costituisce un dato tutto da interpretare e che sul piano scientifico pu... [SEGUE]
   
 Il 23 giugno i radicali, tra cui Marco Pannella,
hanno partecipato alla veglia  organizzata dalla
comunità ebraica al portico d'Ottavia per
chiedere la liberazione di tre sedicenni ebrei:
Eyal,Gil-ad e Naftali,
rapiti in Israele il 12 giugno.

lunedì 23 giugno 2014

Siamo tutti meno liberi: chiuso il Centro di Ascolto

Mostrava  quello  che radio e televisione decidono di far vedere e sentire agli italiani. 
Come questo influisce su quello che penseranno.  
E voteranno.

Vedi:


Il comunicato di Gianni Betto, direttore del Centro d’Ascolto dell’informazione radiotelevisiva:

“Dalla scorsa settimana, precisamente del 13 giugno, il Centro di Ascolto dell'informazione radiotelevisiva
 - dopo 35 anni - ha cessato le proprie attività. E’ chiuso; non ha più i suoi dipendenti, non ha più i suoi collaboratori, non produce più dati e analisi aggiornate sullo stato della televisione italiana.

Il lavoro di monitoraggio dell'informazione televisiva, se fatto bene, è un lavoro costoso. E’ una di quelle attività dove la professionalità e la competenza delle persone è fondamentale e dove il supporto delle tecnologie è limitato soltanto ad alcuni aspetti tecnici.

Il Centro di Ascolto chiude per assenza di mercato o meglio, per lo scarso interesse che politica e istituzioni hanno sempre dimostrato, e avuto, verso un tema delicato, troppo delicato: la conoscenza dei cittadini, la democrazia, la libertà.

Nel mercato che non esiste vivono quattro o cinque grandi operatori, che ruotano sostanzialmente attorno a due grandi clienti: la Rai e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Nel mercato che non esiste, bene che vada, vince chi ha i migliori rapporti con il cliente (la politica) o chi fa il prezzo più basso rispetto ai concorrenti a scapito della qualità del lavoro o di chi lo deve realizzare.

Se si rimane nella legalità i dipendenti devono essere pagati, retribuiti secondo le leggi materia di lavoro.
Se si rimane nella legalità non si può utilizzare il lavoro nero, non si possono utilizzare studenti universitari sottopagati o a titolo gratuito. Se il regime controlla e gestisce l'informazione trasmessa al cittadino italiano,  che interesse ci può essere a mantenere in vita chi tale controllo lo dimostra da anni?” 



Corruzione: la politica gronda vendicatori e purificatori, i magistrati si occupano delle questioni di Governo.

Poco più di una settimana fa – mentre il Presidente del Consiglio minacciava sfracelli  (Via i corrotti! A calci nel sedere!!) e nuove gride – il Procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio consigliava di ridurre le leggi (e, paradossalmente, anche le pene). Di semplificare leggi e procedure e: “renderle più chiare e più trasparenti in modo che chi partecipa a una gara pubblica sappia a chi si deve rivolgere, quali sono le autorità che sono responsabili. Autorità che devono essere poche” e, raccomandava la strada della prevenzione (timidamente aperta dalla legge 6 nov 2012 n° 190)
.
Aggiungiamo a quanto appena riportato, le parole di Bruno Giangiacomo, Pres. Aggiunto della Sezione  G.I.P. presso il Tribunale di Bologna, che ha richiamato “I problemi, recentemente evidenziati dalla sentenza Sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione, della “induzione indebita”: quella che un tempo era la vittima di concussioni può divenire coautore nella corruzione.  Si investe il privato di un obbligo di fedeltà che la Costituzione attribuisce al solo pubblico agente” (…)  “Trasformare quella che era la vittima in un correo ha praticamente precluso molte possibilità di denuncia dei fatti, perché la vittima può denunciare senza problemi ma se poi io divento invece correo sarò tendente a non  investire l’autorità giudiziaria“.  Ancora una volta il legislatore scarica un po’ troppo aspetti interpretativi sul giudice.

Mentre la politica gronda di vendicatori, ramazzatori e bonificatori della casa nella quale sono cresciuti e hanno prosperato, sono i magistrati ad occuparsi delle questioni del Governo.
 
Si può solo sperare che, prima o poi, il Governo prenderà in considerazione i consigli sopra riportati.
Che cominci a rendersi finalmente conto che sono le (buone) regole che fanno della corruzione l’eccezione e non la regola.
http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaPenale/SezioniUnite/SchedaNews.asp?ID=1989

domenica 22 giugno 2014

Aborto: gli errori di Menapace e gli effetti della 194

In un articolo relativo alla fecondazione assistita e alla donazione di gameti esterni alla coppia, Lidia Menapace (Il manifesto, 17 giu pag. 15: “L’alfabeto democratico. Senso e controsenso tra le parole e le cose”) afferma che, se fosse passato il referendum dei radicali in materia, “le poveracce avrebbero potuto continuare ad avere l’aborto delle mammane”.

Oggi i radicali sono cancellati dalla scena politica anche perché i comunisti, che si vergognano di chiamarsi ancora con il loro nome, hanno preso a chiamarsi sinistra antagonista, sinistra radicale o, semplicemente, radicali (onore quindi a “il manifesto” che continua a definirsi “quotidiano comunista” e che dà persino voce ai radicali doc).
Occorre perciò cercare di ricordare come andarono veramente le cose e perché, quindi, Menapace ricorda male.

I radicali sono da tutti riconosciuti  (allora si, che eravate bravi!) come i protagonisti delle lotte degli anni ’70 per i diritti civili: divorzio, aborto, obiezione di coscienza al servizio militare, diritti dei/delle transessuali, legalizzazione delle droghe, voto ai diciottenni. Furono queste campagne radicali di quegli anni a indicare l’alternativa liberale al regime partitocratico e a quelli che, nelle piazze, inneggiavano al potere che nasce dalla canna del fucile e che poi insanguinarono gli anni di piombo.

Appena conquistato agli italiani, nel 1974, l’istituto del divorzio, il Partito Radicale di Marco Pannella (con il Movimento Liberazione della Donna e il Cisa) decide di lottare per eliminare il reato di aborto. Comincia così una campagna di disobbedienza civile praticando pubblicamente e a titolo praticamente gratuito, aborti (in un anno saranno 10.141) nelle proprie sedi e consultori e, poi, autodenunciandosi. Ai radicali risultava intollerabile che uno Stato trasformasse in delitto penale “contro l’integrità e la sanità della stirpe” ciò che per la religione allora di Stato, era peccato (rovesciando altra sofferenza sulla sofferenza di quei due milioni di donne che - sole o con il conforto del proprio consorte - avevano comunque deciso di porre fine alla gravidanza).

Nel 1975, il segretario del partito Gianfranco Spadaccia viene arrestato (stessa sorte toccherà successivamente ad Adele Faccio e Emma Bonino). Il 18 febbraio la Corte Costituzionale dichiara parzialmente illegittima la norma penale che punisce il reato di procurato aborto. Il 15 aprile i radicali cominciano la raccolta (a fine campagna le firme, regolarmente autenticate, saranno 750.000) per un referendum, tra altri, che cancellasse quella legge.

La campagna raccoglie il consenso popolare e della stampa “progressista” ma le dimissioni del deputato socialista Loris Fortuna (compagno di lotta dei radicali già per l’introduzione del divorzio) denunciano il compromesso Dc – Pci. Compromesso che puntualmente approda in Parlamento (dopo che le elezioni anticipate del 1976 avevano impedito la celebrazione, nella primavera di quell’anno, del referendum) con l’approvazione, nel 1978, della legge 194: “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”.

I 4 radicali entrati in Parlamento nel 1976, votano contro: troppe erano le restrizioni di quella legge.

E’ proprio per cancellare quelle restrizioni, che il movimento radicale propone nuovamente un referendum (mentre, contemporaneamente, il Movimento per la Vita ne proponeva due che andavano nella direzione opposta). Referendum che si tiene il 17 maggio 1981, e che ottiene soltanto l’11,6% di SI, contro l’88,4% di NO. Battuto ancora una volta dallo schieramento che lo aveva battuto tre anni prima, e dal popolo convinto dalla martellante propaganda in difesa della 194, infarcita di argomentazioni come quelle che Lidia Menapace ripete oggi.

Durante la raccolta firme, Marco Pannella ricordava: “La nostra posizione di fondo è sempre stata quella della depenalizzazione dell’aborto, non della regolamentazione di Stato. I problemi dell’assistenza e della gratuità ne dovevano risultare come il logico, legale, corollario; inevitabile e necessario. Il gioco di costringere il solo aborto, fra tutti gli interventi sanitari, all’interno delle strutture pubbliche, e di rendere queste impraticabili attraverso l’obbligo all’obiezione di coscienza di massa in gran parte delle strutture ospedaliere, era troppo scoperto”. http://radicali.radicalparty.org/search_view.php?id=47049&lang=IT&cms


Poi vinse ancora il compromesso Dc-Pci.  Ma non le donne che, guarda caso, sono oggi alle prese con la dilagante obiezione di coscienza.