In un articolo relativo alla
fecondazione assistita e alla donazione di gameti esterni alla coppia, Lidia
Menapace (Il manifesto, 17 giu pag. 15: “L’alfabeto democratico. Senso e
controsenso tra le parole e le cose”) afferma che, se fosse passato il referendum
dei radicali in materia, “le poveracce avrebbero potuto continuare ad avere
l’aborto delle mammane”.
Oggi i radicali sono cancellati
dalla scena politica anche perché i comunisti, che si vergognano di chiamarsi
ancora con il loro nome, hanno preso a chiamarsi sinistra antagonista, sinistra
radicale o, semplicemente, radicali (onore quindi a “il manifesto” che continua
a definirsi “quotidiano comunista” e che dà persino voce ai radicali doc).
Occorre perciò cercare di ricordare
come andarono veramente le cose e perché, quindi, Menapace ricorda male.
I radicali sono da tutti
riconosciuti (allora si, che eravate bravi!) come i protagonisti delle lotte degli anni ’70 per i diritti
civili: divorzio, aborto, obiezione di coscienza al servizio militare, diritti
dei/delle transessuali, legalizzazione delle droghe, voto ai diciottenni. Furono queste campagne radicali di quegli anni a indicare l’alternativa
liberale al regime partitocratico e a quelli che, nelle piazze, inneggiavano al
potere che nasce dalla canna del fucile e che poi insanguinarono gli anni di
piombo.
Appena conquistato agli italiani,
nel 1974, l’istituto del divorzio, il Partito Radicale di Marco Pannella (con
il Movimento Liberazione della Donna e il Cisa) decide di lottare per eliminare
il reato di aborto. Comincia così una campagna di disobbedienza civile
praticando pubblicamente e a titolo praticamente gratuito, aborti (in un anno
saranno 10.141) nelle proprie sedi e consultori e, poi, autodenunciandosi. Ai radicali risultava intollerabile che uno Stato trasformasse in delitto penale
“contro l’integrità e la sanità della stirpe” ciò che per la religione allora
di Stato, era peccato (rovesciando altra sofferenza sulla sofferenza di quei
due milioni di donne che - sole o con il conforto del proprio consorte - avevano
comunque deciso di porre fine alla
gravidanza).
Nel 1975, il segretario del
partito Gianfranco Spadaccia viene arrestato (stessa sorte toccherà
successivamente ad Adele Faccio e Emma Bonino). Il 18 febbraio la Corte
Costituzionale dichiara parzialmente illegittima la norma penale che punisce il
reato di procurato aborto. Il 15 aprile i radicali cominciano la raccolta (a
fine campagna le firme, regolarmente autenticate, saranno 750.000) per un referendum,
tra altri, che cancellasse quella legge.
La campagna raccoglie il consenso
popolare e della stampa “progressista” ma le dimissioni del deputato socialista
Loris Fortuna (compagno di lotta dei radicali già per l’introduzione del
divorzio) denunciano il compromesso Dc – Pci. Compromesso che puntualmente
approda in Parlamento (dopo che le elezioni anticipate del 1976 avevano
impedito la celebrazione, nella primavera di quell’anno, del referendum) con
l’approvazione, nel 1978, della legge 194: “Norme per la tutela sociale della
maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”.
I 4 radicali entrati in Parlamento
nel 1976, votano contro: troppe erano le restrizioni di quella legge.
E’ proprio per cancellare quelle
restrizioni, che il movimento radicale propone nuovamente un referendum (mentre,
contemporaneamente, il Movimento per la Vita ne proponeva due che andavano
nella direzione opposta). Referendum che si tiene il 17 maggio 1981, e che
ottiene soltanto l’11,6% di SI, contro l’88,4% di NO. Battuto ancora una volta
dallo schieramento che lo aveva battuto tre anni prima, e dal popolo convinto
dalla martellante propaganda in difesa della 194, infarcita di argomentazioni
come quelle che Lidia Menapace ripete oggi.
Durante la raccolta firme, Marco Pannella
ricordava: “La nostra posizione di fondo
è sempre stata quella della depenalizzazione dell’aborto, non della
regolamentazione di Stato. I problemi dell’assistenza e della gratuità ne
dovevano risultare come il logico, legale, corollario; inevitabile e
necessario. Il gioco di costringere il solo aborto, fra tutti gli interventi
sanitari, all’interno delle strutture pubbliche, e di rendere queste
impraticabili attraverso l’obbligo all’obiezione di coscienza di massa in gran
parte delle strutture ospedaliere, era troppo scoperto”. http://radicali.radicalparty.org/search_view.php?id=47049&lang=IT&cms
Poi vinse ancora il compromesso
Dc-Pci. Ma non le donne che, guarda
caso, sono oggi alle prese con la dilagante obiezione di coscienza.