Dopo il trionfo delle elezioni Europee “soprattutto in
termini percentuali” (che, comunque,
egli riscuote l’esplicita fiducia di poco più del 20% degli aventi diritto al
voto), il Presidente del Consiglio ha incassato nuove disponibilità al dialogo.
Beppe Grillo vuole dialogare, Matteo Salvini è disponibile.
Con Silvio Berlusconi il dialogo sulle riforme è già avviato da tempo e può
essere che il segretario PD lo incontri nuovamente. Per non parlare di Angelino
Alfano con cui il dialogo è serrato.
Tutti si parlano.
Rigorosamente fuori dal Parlamento.
Era questa la caratteristica
di quello che, da Maranini in poi, i radicali hanno sempre chiamato Regime
partitocratico: i capi partito si mettono d’accordo per poi imporre al
Parlamento le proprie decisioni. Con buona pace dell’art. 67 della celebrata
Costituzione della Repubblica italiana: “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato". La porcata di Calderoli (la legge elettorale che il latinorum di regime definisce “Porcellum”)
lo aveva sancito definitivamente: ogni membro delle Camere è, invece,
dipendente del capo partito che lo ha nominato. Per questo la Corte
Costituzionale ne ha imposto la riforma.
Oggi, però, ci siamo
abituati. Anche il movimento cinque
stelle (che, per la verità è nato in odio alla democrazia rappresentativa)
sembra adeguarsi.
L’Italia cambia verso?
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