domenica 22 giugno 2014

Aborto: gli errori di Menapace e gli effetti della 194

In un articolo relativo alla fecondazione assistita e alla donazione di gameti esterni alla coppia, Lidia Menapace (Il manifesto, 17 giu pag. 15: “L’alfabeto democratico. Senso e controsenso tra le parole e le cose”) afferma che, se fosse passato il referendum dei radicali in materia, “le poveracce avrebbero potuto continuare ad avere l’aborto delle mammane”.

Oggi i radicali sono cancellati dalla scena politica anche perché i comunisti, che si vergognano di chiamarsi ancora con il loro nome, hanno preso a chiamarsi sinistra antagonista, sinistra radicale o, semplicemente, radicali (onore quindi a “il manifesto” che continua a definirsi “quotidiano comunista” e che dà persino voce ai radicali doc).
Occorre perciò cercare di ricordare come andarono veramente le cose e perché, quindi, Menapace ricorda male.

I radicali sono da tutti riconosciuti  (allora si, che eravate bravi!) come i protagonisti delle lotte degli anni ’70 per i diritti civili: divorzio, aborto, obiezione di coscienza al servizio militare, diritti dei/delle transessuali, legalizzazione delle droghe, voto ai diciottenni. Furono queste campagne radicali di quegli anni a indicare l’alternativa liberale al regime partitocratico e a quelli che, nelle piazze, inneggiavano al potere che nasce dalla canna del fucile e che poi insanguinarono gli anni di piombo.

Appena conquistato agli italiani, nel 1974, l’istituto del divorzio, il Partito Radicale di Marco Pannella (con il Movimento Liberazione della Donna e il Cisa) decide di lottare per eliminare il reato di aborto. Comincia così una campagna di disobbedienza civile praticando pubblicamente e a titolo praticamente gratuito, aborti (in un anno saranno 10.141) nelle proprie sedi e consultori e, poi, autodenunciandosi. Ai radicali risultava intollerabile che uno Stato trasformasse in delitto penale “contro l’integrità e la sanità della stirpe” ciò che per la religione allora di Stato, era peccato (rovesciando altra sofferenza sulla sofferenza di quei due milioni di donne che - sole o con il conforto del proprio consorte - avevano comunque deciso di porre fine alla gravidanza).

Nel 1975, il segretario del partito Gianfranco Spadaccia viene arrestato (stessa sorte toccherà successivamente ad Adele Faccio e Emma Bonino). Il 18 febbraio la Corte Costituzionale dichiara parzialmente illegittima la norma penale che punisce il reato di procurato aborto. Il 15 aprile i radicali cominciano la raccolta (a fine campagna le firme, regolarmente autenticate, saranno 750.000) per un referendum, tra altri, che cancellasse quella legge.

La campagna raccoglie il consenso popolare e della stampa “progressista” ma le dimissioni del deputato socialista Loris Fortuna (compagno di lotta dei radicali già per l’introduzione del divorzio) denunciano il compromesso Dc – Pci. Compromesso che puntualmente approda in Parlamento (dopo che le elezioni anticipate del 1976 avevano impedito la celebrazione, nella primavera di quell’anno, del referendum) con l’approvazione, nel 1978, della legge 194: “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”.

I 4 radicali entrati in Parlamento nel 1976, votano contro: troppe erano le restrizioni di quella legge.

E’ proprio per cancellare quelle restrizioni, che il movimento radicale propone nuovamente un referendum (mentre, contemporaneamente, il Movimento per la Vita ne proponeva due che andavano nella direzione opposta). Referendum che si tiene il 17 maggio 1981, e che ottiene soltanto l’11,6% di SI, contro l’88,4% di NO. Battuto ancora una volta dallo schieramento che lo aveva battuto tre anni prima, e dal popolo convinto dalla martellante propaganda in difesa della 194, infarcita di argomentazioni come quelle che Lidia Menapace ripete oggi.

Durante la raccolta firme, Marco Pannella ricordava: “La nostra posizione di fondo è sempre stata quella della depenalizzazione dell’aborto, non della regolamentazione di Stato. I problemi dell’assistenza e della gratuità ne dovevano risultare come il logico, legale, corollario; inevitabile e necessario. Il gioco di costringere il solo aborto, fra tutti gli interventi sanitari, all’interno delle strutture pubbliche, e di rendere queste impraticabili attraverso l’obbligo all’obiezione di coscienza di massa in gran parte delle strutture ospedaliere, era troppo scoperto”. http://radicali.radicalparty.org/search_view.php?id=47049&lang=IT&cms


Poi vinse ancora il compromesso Dc-Pci.  Ma non le donne che, guarda caso, sono oggi alle prese con la dilagante obiezione di coscienza. 

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