Dall'intervista comparsa a pag. 13 de "LA STAMPA" del 9 giugno
a Giuseppe Maria Saba, già Ordinario di Anestesiologia e Rianimazione presso le Università di Caglari e di Roma "La Sapienza"
Io, medico, ho aiutato a morire un centinaio di pazienti gravi
Io, medico, ho aiutato a morire un centinaio di pazienti gravi
Da anestesista ho addormentato migliaia di persone,
in un centinaio di casi sono andato oltre.
L’ho fatto ogni volta che era necessario, ma non ho un
elenco. Non mi sono mai pentito, anche perché erano i pazienti a chiedermi di
intervenire. In tutte le situazioni non c’era altra via di uscita.
Tutti si stupiscono di questo metodo, ma il vero problema è
che in Italia ancora non si è capito cos’è il dolore. Nessuno lo ha studiato,
in pochi sanno quali sono le differenze e che cosa lo determina, Col dolore non
c’è medicina che tenga.
La cosa più importante è fare il bene del malato, aiutarlo a
morire soffrendo il meno possibile. Spesso i pazienti restano abbandonati a sé
stessi negli ospedali, sottoposti a terapie inutili, lunghissime e anche molto
costose.
Quali sono i modi per
praticare la dolce morte?
Il più semplice è quello di aumentare la dose degli
analgesici. Somministrare una quantità superiore si morfina di certo non è
reato, ma può bastare. Altra possibilità è quella di somministrare un farmaco
che blocca la respirazione: le bensodiazepine sono le più venute al mondo.
Questa è una pratica consolidata in tutta Italia, ma per
ragioni di conformismo non se ne parla. Gli unici che alzano la voce sono gli
esponenti di frange dell’estremismo cattolico, rigido e confuso. Parlo ora perché
non ne posso più del silenzio su cose che sappiamo tutti.
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