giovedì 7 aprile 2011

La rabbia e l'immigrazione /2

Di Marco del Ciello.

Il 13 febbraio, all'indomani dei primi sbarchi di tunisini a Lampedusa e quattro giorni prima dello scoppio della rivolta in Libia, scrivevo che i fatti stavano dimostrando il fallimento delle politiche migratorie basate sugli accordi con i dittatori. A distanza di due mesi, e con oltre duecento morti nel canale di Sicilia, non posso che confermare quanto pensavo già allora: esiste un fondamentale squilibrio tra i paesi europei, relativamente ricchi e abitati da una popolazione sempre più anziana, e gli stati del Nord Africa, relativamente poveri e abitati da giovanissimi. In mezzo c'è il Mediterrano, che non è una barriera naturale ma una via di passaggio frequentatissima. Alla luce di queste banali osservazioni non è difficile capire perché i giovani poveri della sponda sud si spostano, e sempre più si sposteranno, verso nord, dove scarseggia la manodopera e abbondano le opportunità economiche. I governi italiani degli ultimi anni hanno scelto di affrontare questo problema attraverso trattati bilaterali con i governi nordafricani, una politica di corto respiro che oggi sta mostrando tutti i suoi limiti. Il nuovo governo provvisorio tunisino si rifiuta infatti di riconoscere gli accordi firmati nel 1998 dall'ex presidente Ben Ali, costringendo il governo italiano a lunghe e faticose (e costose) mediazioni. Altrettato potrebbe succedere in Libia con la caduta di Gheddafi, con l'aggravante che Tripoli rappresenta la porta d'accesso al Mediterraneo anche per tutti gli immigrati che provengono dalle nazioni subsahariane.

I regimi autoritari sono quasi sempre inaffidabili, instabili e sottosviluppati: inaffidabili perché le decisioni vengono prese in modo arbitrario e opaco da una sola persona o da un gruppo ristretto di persone; instabili perché non hanno procedure chiare e definite in anticipo per la successione dei leader politici; sottosviluppati perché l'assenza di stato di diritto e la corruzione dilagante soffocano l'impresa privata. Finché i paesi della sponda sud del Mediterraneo non avranno istituzioni democratiche, non sarà perciò possibile arrestare i flussi migratori, che anzi sono destinati a crescere nei prossimi anni. Ma è molto difficile che emergano istituzioni democratiche in una regione tradizionalmente segnata dall'autoritarismo, a meno che le transizioni in corso non vengano inserite in un contesto di tipo federale. L'Unione Europea dovrebbe abbandonare l'ipocrisia della politica europea di vicinato e avviare la sua transizione verso una comunità degli stati euromediterranei, aprendo immediatamente negoziati per l'adesione con Egitto e Tunisia. Il federalismo europeo è l'unica risposta seria, credibile e lungimirante al problema dell'immigrazione dal Nord Africa e siamo già in ritardo su questa strada.

www.radicalisenzafissadimora.org

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